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Il manifesto della Settimana dell’Accoglienza 2020

Abbiamo bisogno di comunità. Ne abbiamo necessità urgente, proprio ora, dopo mesi di isolamento e di comunicazioni a distanza, dopo una ripresa dei contatti che è segnata per molti da forti timori e molta prudenza a cui fanno da contraltare tante persone pervase da un desiderio di buttarsi tutto alle spalle, come nulla fosse accaduto. 

Eppure è accaduto qualcosa di molto significativo: la pandemia ha enfatizzato le condizioni di diseguaglianza e di vulnerabilità; ma ha anche messo in luce persone, associazioni, lavoratori, volontari capaci di prendersi cura, farsi carico, sacrificarsi per un ideale di umanità. L’altro è parte costitutiva della mia stessa libertà e insieme possiamo davvero sentirci comunità. È una lezione che non va dimenticata. 

Abbiamo bisogno di rielaborare questo insegnamento; abbiamo bisogno di tracciare una direzione sulla fase che stiamo vivendo, sul futuro prossimo, ma anche su quello a lungo termine. Per questo, con i limiti nostri e quelli imposti dalle necessarie regole sanitarie, vogliamo costruire insieme… 

Ci vogliamo prendere cura delle relazioni perché deve resistere quanto di straordinario è stato fatto in questi mesi da moltissime persone nel campo sanitario, educativo, dell’assistenza, dei servizi essenziali, del volontariato… È stato un periodo di stimolo per comprendere quanto la vita di una comunità dipenda dall’impegno, dal coraggio, dal senso forte di appartenenza di ciascuno, nessuno escluso. Quando le persone vivono relazioni positive di scambio, si modifica il significato stesso che esse attribuiscono alla loro condizione e cadono molte barriere, minacce, paure, identificazione di nemici, difficoltà, inadeguatezze, insoddisfazioni che logorano le persone in tutti i loro ambienti di vita. 

Ci vogliamo prendere cura degli spazi di vita perché le relazioni fra le persone hanno bisogno di luoghi dove possano realizzarsi. Soprattutto le periferie urbane e di valle chiedono di essere profondamente ridisegnate con una visione politica e sociale che sappia riconnettere tra loro le persone perse nelle loro solitudini. La riconfermata sindaca di 

Parigi ne ha fatto programma elettorale e su questo ha vinto promuovendo l’idea di una “città del quarto d’ora”, dove ognuno nel raggio di 15 minuti abbia la possibilità di lavorare, imparare, fare la spesa, condividere, stare all’aria aperta, acculturarsi e spendersi nel sociale, farsi curare, fare esercizio fisico. 

Ci vogliamo prendere cura della salute e dell’ambiente. Il diritto fondamentale inciso nell’art. 32 della Costituzione non si può intendere “come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico”. Dobbiamo avere ben presente il legame tra diseguaglianze sociali e diseguaglianze della salute; tra interventi di sola medicalizzazione e la necessità di un sistema di relazioni che sgretolino il muro di solitudine e povertà; tra la distanza dei protocolli e la prossimità. E se la giurisprudenza ha iniziato a considerare il diritto a un ambiente salubre come premessa necessaria per rendere effettivo il diritto alla salute, la condizione necessaria per favorire il benessere è occuparsi dell’ambiente umano dal livello locale a quello di ogni realtà locale. Garantire la salute e la qualità dell’ambiente vuol dire garantire la tenuta di una comunità. In questo campo di cura, “non si è mai troppo piccoli per fare la differenza”. 

Abbiamo bisogno di una comunità che si prende cura delle relazioni, degli spazi di vita, della salute e dell’ambiente dove viviamo quotidianamente. Abbiamo bisogno di “idealisti concreti”, o “sognatori con i piedi nel fango”, come ama dire l’ex presidente nazionale di CNCA Armando Zappolini. Per questo siamo qui anche quest’anno con la Settimana dell’Accoglienza. 

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